Vai al contenuto
Home » Articoli » La psicologia del totalitarismo

La psicologia del totalitarismo

di Mattias Desmet. Sintesi e riflessioni

La domanda che molti di noi si pongono è: come mai è possibile tutto questo? Si tratta di un quesito, come si sa, tutt’altro che nuovo. Ce lo siamo posti a proposito dei campi di concentramento, e non solo. E infatti Mattias Desmet, psicologo belga, per provare a rispondervi si richiama al grande saggio sul totalitarismo di Hannah Arendt, la teorica della filosofia politica che amava dire: “Io voglio comprendere”. Quello che anche noi abbiamo capito, e che già il titolo scelto da Desmet enuncia chiaramente, è che abbiamo a che fare con un potere dalle caratteristiche totalizzanti, che occupa tutti gli spazi non solo del dibattito pubblico, chiamiamolo così, ma soprattutto gli spazi mentali. Una ipnosi di gruppo “che distrugge la coscienza critica degli individui e li priva della loro abilità di pensare criticamente”, al punto che, come dice Harari, la testa d’uovo del World Economic Forum, la maggior parte delle persone nemmeno si accorge di star scivolando verso un regime totalitario.

Giustamente Desmet ricorda che la Arendt individuava, come soggetti ideali del totalitarismo, le persone che non distinguono la fiction dalla realtà e, mentre si lasciano incantare da statistiche e numeri distorti con malizia, disprezzano fatti palesi. Prima della Arendt, e in un certo senso forse con un’acutezza maggiore, Gustave Le Bon nel 1895 aveva spiegato in La psicologia delle folle, che nelle masse l’”anima individuale” è completamente assorbita dall’”anima di gruppo”. Quando avviene questo fenomeno, anche soggetti dotati di un’intelligenza superiore perdono la loro capacità critica al pari degli altri, e in tutti si manifesta una forte tendenza a soccombere a impulsi che loro stessi, fuori dall’incantesimo, giudicherebbero assolutamente immorali.

A questo stato di obnubilamento e perversione della condotta si arriva, secondo Desmet, in quattro fasi: 1) isolamento e mancanza di legami sociali nella popolazione; 2) mancanza conseguente di senso della propria vita; 3) stati di ansia profonda indotti da quanto appena detto, ma di cui il soggetto non riconosce la causa precisa; 4) infine, come risultato di questo insieme, frustrazione e aggressività.

Preparato così il terreno, il potere offre una via di sfogo, ovvero l’identificazione di un nemico da combattere: storicamente l’aristocrazia sotto lo stalinismo e gli ebrei sotto il nazismo, fino ai no-vax dei giorni nostri. L’unione dei soggetti, che partecipano alla formazione di massa contro un nemico comune, restituisce loro senso, coesione sociale e energia, una volta che trovano come scaricare la propria frustrazione e aggressività.

Come Le Bon aveva scritto con enorme lucidità, con le masse non si discute, sono costituzionalmente allergiche ai ragionamenti. Se si prova a farle riflettere, reagiscono offese e si pongono a difesa del logicamente indifendibile. Per Desmet, le assurdità del potere assolvono per le masse la funzione di un rituale, il quale aiuta a scaricare l’ansia. Inoltre, quanto più sono assurde queste misure, tanto più catartiche risultano, e le persone vi si assoggettano con entusiasmo.

Unendo le riflessioni di Le Bon a quelle di Desmet, si inquadrano meglio i comportamenti follemente irrazionali da parte di persone comuni, di cui siamo testimoni ormai da tempo. Un’irrazionalità che ha tratti di fanatismo, un voler essere più realisti del re, un interpretare disposizioni senza senso in modo ancora più estremo e quindi insensato. Tutto questo avviene, ci spiega dunque Desmet, perché si è formata una massa, la quale sublima ansie, frustrazioni e vuoti interiori tramite l’identificazione con sentimenti e comportamenti deviati, ma appunto funzionali per liberarsi delle tensioni indotte ad arte da chi vuole dominare.

Ma c’è un’altra ragione di fondo, che Desmet individua: l’aver interiorizzato una visione meccanicista della vita, ovvero il credere che con la razionalità si possa controllare il mondo, che altro non sarebbe che una macchina di cui basta arrivare a conoscere tutti gli ingranaggi, per poterla far girare come si vuole. In una tale ottica, il potere è degli esperti, di tecnologia in particolare, ed è un potere che non ammette contraddittori, perché pretende di sapere come stanno le cose.

Vi è, paradossalmente, un duplice livello di irrazionalità con pretese di razionalità assoluta: l’irrazionalità del potere, che crede di essere in grado di dominare tutto e tutti, e quella dei sottomessi, degli ipnotizzati dalla propaganda. All’interno dell’angusta logica meccanicista, che ignora la ricchezza e la bellezza dell’universo, riducendo questo a un meccanismo dominabile, l’inganno e l’autoinganno si reggono reciprocamente, ma sono destinati a crollare, a autodistruggersi, per la loro intrinseca inconsistenza.

Tenendo conto di questo, cosa debbono fare i capri espiatori, oltre che sedere sulla sponda del fiume, in attesa che passi il cadavere del totalitarismo? Secondo Desmet, continuare a sostenere con pacatezza le proprie ragioni, evitando di essere loro stessi vittime del fenomeno della formazione di massa in maniera opposta, cioè vedendo cospirazioni dappertutto.

Il Grande Vecchio per Desmet non è tanto l’elite, che si serve consapevolmente della formazione di massa incutendo paura e martellando

con la propaganda, quanto l’ideologia meccanicista e pseudorazionale, che fa accettare la narrazione a chi ha già introiettato il modo di pensare dominante. Desmet cita giornalisti e politici di sua conoscenza, che aderiscono al pensiero unico, non perché siano stati corrotti o ricattati, ma perché accolgono quanto da loro evidentemente ci si aspetta, per timore – i politici, ma forse anche i giornalisti – di essere troppo morbidi con le misure, e quindi di poter essere accusati di contribuire a diffondere la pandemia.

Quest’ultimo passaggio di Desmet, un po’ sorprendente, si riequilibra quando l’autore richiama, anche se non esplicitamente, la raccomandazione kantiana: sapere aude, abbi il coraggio di informarti, di conoscere, prendi in mano la tua vita, diventa finalmente adulto e responsabile. Questo è il modo per prevenire la formazione di massa, e possibilmente per uscirne, se si riesce ad allentare l’incantesimo.

La scienza meccanicista, che secondo l’ideologia corrente, dovrebbe renderci sani e felici, a una mente dotata di buon senso e libera dalla formazione di massa, appare quindi fallace. Questo approccio alla scienza, di cui si sbandierano le virtù, oltretutto è superato proprio dai progressi compiuti nel

XX secolo, in particolare con la fisica quantistica. Sappiamo ora, senza ombra di dubbio, che al fondo delle cose regna l’imprevedibilità, perché nulla, se esaminato a livello delle particelle, funziona davvero come ci si aspetterebbe a priori. Fisici come Heisenberg, Bohr, Planck, ma anche lo stesso Einstein, che non volle mai accettare le evidenze quantistiche, hanno tutti riconosciuto che lo studio scientifico condotto con il metodo razionale, che tanti buoni risultati ha prodotto, conduce inevitabilmente al punto in cui ci si deve fermare, per contemplare il mistero della vita, che va ben al di là di quanto possiamo comprendere e indagare con la ragione.

Questa fallacissima e nichilista visione meccanicista promette – nella sua visione più futuristica, ma in realtà prossima ventura – il raggiungimento di una maggiore serenità e salute, fondendo l’uomo con la tecnologia, con impianti di chip che ne consentano il monitoraggio e la programmazione.

Il transumanesimo è l’apoteosi del meccanicismo. Desmet non lo dice apertamente, ma viene spontaneo chiederci: cosa possiamo aspettarci da un progetto che si fonda su una visione della vita, che la vera scienza ha superato ormai da un secolo?

Possiamo allora concludere che La psicologia del totalitarismo – peraltro uscito meno di un anno fa, nel novembre 2021 – risponde adeguatamente alla domanda: come è possibile tutto questo, come è possibile che in tanti siano

caduti nella trappola e la difendano, senza capire che si stanno scavando la fossa con le loro mani, e contribuiscono a scavarla per gli altri?

Desmet ha fatto sicuramente un lavoro utile, nell’indicare nell’eccesso di razionalità il terreno fertile su cui viene costruito questo inganno criminale. Ha ragione a richiamare le riflessioni della Arendt in merito, che su questa strada venne preceduta da Adorno e Horkheimer (La dialettica dell’Illuminismo) e dal nostro Gramsci con il suo concetto di egemonia. Egemonia si ha, aveva scritto Gramsci nei suoi Quaderni dal carcere, quando il popolo desidera esattamente quello che vuole il padrone. Di sicuro, questo è ciò che stiamo vivendo, e che è stato voluto, pianificato e realizzato con grande dispiego di forze. La maggior parte delle persone invoca l’aiuto dall’alto, dalla cosiddetta scienza, e, in preda al panico, commette l’errore di fidarsi di politici criminali, giornalisti e medici complici (sia pure, entro certi limiti, non direttamente corrotti).

La visione transumanista deriva sicuramente da un eccesso di fiducia nella razionalità. Ma cos’è che genera questo eccesso di fiducia? Più che Desmet, ce lo spiega il mito di Icaro, o quello biblico della Torre di Babele: l’hybris, la follia umana che ci fa pensare di poter raggiungere qualunque risultato con i nostri mezzi tecnici.

Vi è poi un’altra spiegazione che Desmet non menziona, e alla quale la scienza d’avanguardia sta arrivando: i pensieri sono forze, in qualche modo magnetiche, che catturano come calamite le menti che si trovano ad essere nel loro campo di azione. Questa spiegazione ci porta un passo più avanti verso la comprensione di ciò che ci appare assurdo, e senz’altro lo è. Non sono solo coloro che credono ciecamente nella scienza meccanicista ad essere preda dell’incantesimo, ma anche persone abituate apparentemente a ragionare fuori dagli schemi consueti, laddove evidentemente sono pensatori liberi solo fino a un certo punto. Quello che si suole chiamare “il sistema”, va anche al di là del meccanicismo: è una struttura solidissima di pensiero che seduce in tanti modi, in particolare coloro che da esso hanno ricevuto riconoscimenti.

Beati gli ultimi, quindi, quando non sono vittime dell’egemonia gramsciana, quando cioè non desiderano assomigliare ai padroni identificandosi con i loro gusti, volendo ciò che questi vogliono.

Francesco Pistolato, 12.9.2022

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *